La direttiva CSDDD entra in vigore. Cosa cambia per le aziende

Dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale avvenuta lo scorso 5 luglio, da oggi entra in vigore la direttiva CSDDD

Di Arianna De Felice

Normative - Pubblicato il 26-07-2024

Oggi entra in vigore la direttiva Corporate sustainability due diligence directive (CSDDD o CS3D), nota anche come Supply chain act.

La direttiva Ue 2024/1760 del 13 giugno 2024, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea lo scorso 5 luglio 2024 e oggi entrata in vigore, nasce con l’obiettivo di prevenire e mitigare le violazioni dei diritti umani e i danni ambientali che possono derivare dalle attività imprenditoriali. La nuova legge va a integrare gli altri obblighi di rendicontazione di sostenibilità, prima fra tutti la direttiva Corporate sustainability reporting directive (CSRD). Le imprese infatti sono ora tenute a identificare, prevenire e rendicontare i rischi connessi ai diritti umani e alle questioni ambientali, non solo all'interno delle loro operazioni dirette, ma anche tra i loro fornitori e partner commerciali.

Cosa comporta l'entrata in vigore della CSDDD per aziende e PMI

La direttiva CS3D impone alle aziende nuove attenzioni e nuovi obblighi che, automaticamente, danno vita a nuova sfide.

Come riportato dalla legge presente in Gazzetta Ufficiale, gli Stati membri, nello specifico, devono provvedere affinché ciascuna società eserciti il dovere di diligenza basato sul rischio in materia di diritti umani e di ambiente mediante: 

1.    integrazione del dovere di diligenza nelle proprie politiche e nei propri sistemi di gestione dei rischi; 
2.    individuazione e valutazione degli impatti negativi effettivi o potenziali sui diritti umani e ambientali;
3.    adozione di misure utili a prevenire e attenuare gli impatti negativi potenziali o arrestare, minimizzare e riparare quelli effettivi;
4.    verifica costante e valutazione dell’efficacia della politica e delle misure inerenti la due diligence;
5.    introduzione di strumenti di segnalazione e canali di reclamo per coloro che nutrono preoccupazioni riguardo gli impatti dell’attività della catena del valore;
6.    garantire un coinvolgimento efficace delle parti interessate, reali e potenziali, attraverso consultazioni trasparenti;
7.    comunicazione pubblica sul dovere di diligenza in conformità alla CSRD.

La sfida più grande è data senz’altro dalla gestione della supply chain: le aziende, infatti, devono garantire che i propri fornitori non abbiano impatti negativi su questioni come le emissioni di CO₂, lo sfruttamento del lavoro minorile, i salari minimi non adeguati e la gestione dei rifiuti. PMI e microimprese, dal canto loro, devono farsi trovare preparate per riuscire a rispondere adeguatamente alla relativa informativa sociale e ambientale richiesta. Questo, però, non deve per forza essere visto in maniera negativa, anzi, potrebbe essere una nuova opportunità di business per PMI e microimprese che potrebbero essere scelte rispetto a fornitori low cost esteri con profili di rischio più elevati.

Tra gli altri vantaggi che questa normativa porterà nel lungo termine vi sono una maggiore fiducia da parte dei consumatori e degli investitori; lo sviluppo della consapevolezza circa i propri impatti sull’ambiente e sui diritti umani; l’aumento della capacità di accesso ai finanziamenti; una miglior gestione del rischio.

Gli Stati membri avranno due anni per recepire la direttiva secondo determinati criteri, ovvero a partire dal 26 luglio 2027 saranno coinvolte le imprese con oltre 5.000 dipendenti e un fatturato superiore ai 1.500 milioni di euro, nel 2028 le aziende con oltre 3.000 dipendenti e un fatturato superiore ai 900 milioni di euro, fino ad arrivare al 2029 andando a toccare le imprese più piccole con più di 1.000 dipendenti e un fatturato superiore a 450 milioni di euro. A essere coinvolte, infatti, sono sia le società madri che le imprese dell'Unione Europea con più di 1.000 dipendenti e un fatturato globale superiore a 450 milioni di euro ma anche i franchising nell'Unione con un fatturato di più di 80 milioni di euro di cui almeno 22,5 provenienti da diritti di licenza e le imprese e i franchising di paesi terzi che raggiungono le stesse soglie di fatturato nell'UE.

Coloro che non rispetteranno gli obblighi potranno subire sanzioni da parte di un’autorità di controllo, scelta dagli Stati membri, fino al 5% del fatturato netto globale dell'impresa oltre a dover risarcire e rispondere dei danni causati.

 


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