La sostenibilità sociale è ormai un tema cruciale nel dibattito globale e sottolinea l'importanza di un approccio integrato che consideri non solo l'ambiente, ma anche le dinamiche sociali e culturali sia nella vita privata che nelle aziende. Tra le sfide più urgenti da affrontare in questo contesto emerge il gender gap, un fenomeno che continua a perpetuarsi in molte società, e che alimenta un ciclo di disuguaglianza che non solo danneggia le donne, ma che frena anche il progresso collettivo. Ma oggi, dopo anni di dibattiti, a che punto siamo? A rispondere a questa domanda è l'ultimo rapporto realizzato dalla coalizione internazionale Equal Measures 2030 (EM30) dal titolo "A gender equal future in crisis?". Lo studio analizza 139 Paesi, Italia compresa, e si basa sui dati disponibili fino al 2022, provenienti da una vasta gamma di fonti tra cui Onu, Ocse, Banca mondiale e sondaggi globali.
“A gender equal future in crisis?” sintetizza i risultati nell’SDG Gender Index con un punteggio da 0 a 100, questo esprime sinteticamente a che punto sono le nazioni nella riduzione del divario tra uomini e donne da quando è stata adottata l’Agenda 2030 nel 2015. L'indice include 56 indicatori che coprono numerosi temi legati a 14 dei 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs): dai diritti sanitari a quelli educativi, dalla povertà alla partecipazione al mercato del lavoro alla politica. L’indice comprende anche le questioni che impattano in modo sproporzionato su donne e ragazze come i cambiamenti climatici e i conflitti, e la presenza di quadri giuridici relativi all’uguaglianza di genere.
La parità di genere oggi
Secondo le analisi effettuate, nel 2022, il punteggio medio globale dei 139 Paesi esaminati è pari a 66,1/100. Un dato che registra un leggero miglioramento rispetto alla prima rilevazione del 2015 quando era fermo a 63,7.
I livelli più alti di parità di genere sono stati registrati in Svizzera (che è anche l’unica che si posiziona nel range 90-100 con 90 punti), Svezia (89,3) e Danimarca (89), mentre in ultima posizione troviamo l’Afghanistan (35,4), preceduto da Niger (41) e Ciad (40,1). Il nostro Paese, invece, si colloca il 31esimo su 139 posto con un punteggio di 77,1.
Andando ad analizzare nel dettaglio emerge che sono 81 i Paesi che registrano indici bassi, ovvero compresi tra 60 e 70 punti, o molto bassi ossia sotto i 60. Tra questi vi sono soprattutto Paesi caratterizzati da conflitti, livelli molto alti di povertà assoluta, scarso accesso all’istruzione e ai servizi igienico-sanitari, numeri elevati di gravidanze tra le adolescenti e mancanza di leggi contro la discriminazione basata sull’orientamento sessuale.
Dall'altra parte, invece, i Paesi con un reddito più alto presentano meno disuguaglianze della parità di genere e una crescita più veloce (51 Paesi). Questo però non vale per tutti dato che anche alcune nazioni meno sviluppate sono riuscite a creare società più eque, evidenziando così che la parità di genere è dovuta da più fattori.
In generale, comunque, circa un terzo (41 su 139) ha registrato una crescita molto veloce mentre oltre la metà (86 su 139) si sta comunque muovendo nella giusta direzione. Resta però un 40% che è attualmente in una posizione di stallo se non addirittura che ha arretrato come il già citato Afghanistan (-2,8) ma anche Paesi più ricchi come gli Stati Uniti (-0,8) e la Polonia (-1,1).
Il principale motivo che ha portato a una crescita più veloce è, però, che molti dei Paesi partivano da una situazione con un indice considerato come basso o molto basso e, per questo, non potevano fare altro che lavorare per migliorarsi il più in fretta possibile. Tra questi vi sono: Venezuela (+4,7), Kuwait (+4,3), Arabia Saudita (+4,2) Chad (+4), Vietnam (+3,9) Cile (+3,6) Moldavia (+3,5), Argentina (+3,4), Guinea (+3,3), Lettonia (+3,3), Lituania (+3,2), Bulgaria (+3,1), Brasile (+3,1) Iraq (+3) e Nepal (+3).
Gli scenari futuri
Dopo un quadro sulla situazione attuale, lo studio fa una proiezione futura da qui al 2030, basandosi sull'andamento osservato tra il 2019 e il 2022. Ne emergono quattro possibili scenari.
Il primo riguarda la situazione peggiore, ovvero se tutti i Paesi seguissero il ritmo dei 17 attuali in cui la situazione è maggiormente in declino, il punteggio medio globale dell’indice nel 2030 sarebbe pari a 62,9, vale a dire persino inferiore a quello registrato nel 2015. Questo scenario, non a caso, viene definito “Declino”
Il secondo scenario invece evidenzia una situazione di stallo (chiamato infatti Nessun progresso). In questo caso si basa sull'attuale situazione di 36 Paesi che, se dovesse diventare globale porterebbe il punteggio a 66,5.
Il terzo caso, definito Qualche progresso, evidenzia che, se tutti seguissero l'attuale andamento dei 45 Paesi, il punteggio arriverebbe appena sopra quello attuale, raggiungendo il 69,3.
Infine, volendo essere ottimisti, se tutti si comportassero come quei 41 Paesi che hanno velocizzato i loro progressi (Italia compresa come abbiamo visto), il punteggio arriverebbe al 73,5. Un dato positivo sì, ma comunque ancora troppo lontano dall'obiettivo del 100.